Dunque, un riconoscimento DE FACTO se non DE JURE. Momento culminante fu quando si decise, da parte del Consiglio Principe,
la precedenza del Capitano Nobile su quelle non Nobile. Era il 28 ottobre del 1756 e si riconobbe che “tra il nobile
e il non nobile, sia disuguaglianza, la quale con la sopravvenienza della dignità di Capitano, non viene mai a pareggiarlo
e che sia conveniente ammettere quelle distinzioni praticate sin qui verso i Nobili”. Altro momento “funzionalmente”
portante, fu la concessione, mediante Senato Consulto del 1669 e del 1670 della cittadinanza nobile ereditaria a Girolamo
e Ottaviano Ippoliti e Carlo Albani. Probabilmente anche San Marino, come glà negli Stati Italiani, andava creandosi
una distinzione delle famiglie locali in nobili e cittadini. Già nei secoli XIV e XV le famiglie Belluzzi, dei Gozi, dei Giannini,
dei Monelli, ecc. ecc.che più volte avevano ricoperto la suprema carica dello Stato, costituivano certamente le prime casate
Nobili della Repubblica. A questo, ristretto numero iniziale vi si aggregarono altre famiglie di possidenti, fino a quando
nel secolo XVIII, si dichiarò anche a San Marino la nobiltà Patriziale. Con Senato Consulto del 16 marzo 1760 si disponeva
che ai posti nobili vacanti in Consiglio, dovessero nominarsi solo nobili e che dei Capitani uno doveva essere scelto tra
i nobili. Inolte 1/3 dello stesso Consiglio Principe doveva essere cooptato esclusivamente dal ceto nobile. Prima di
inoltrarsi nelle vicende degli ultimi anni cerchiamo di vedere in qualche maniera come può esser si formato il ceto nobile
in San Marino. Premesso che non conosciamo i criteri formativi, è da ritenersi sviluppata a antichità di stirpe, escludendo
nel modo più assoluto tradizioni feudali. Probabilmente talune famiglie discendevano dai primi membri della comunità
laicale formatasi attorno a San Marino, oppure da coloro che servirono onorevolmente e coraggiosamente la Patria. Solo
dopo il 1860 la Repubblica di San Marino iniziò la concessione di titoli nobiliari, quali quelli di duca, marchese, conte,
visconte, barone, nobile, con la trasmissibilità per maschio primogenito o per continua linea retta mascolina. Alcuni titoli
sono trasmissibili alle figlie femmine, quando il possessore non ha figli maschi. Tornando agli Statuti è interessante
notare come nel 1317, alle Rubrica III, viene fatto un riferimento ai nobili, ma solo per vietare loro, e insieme a loro ai
potenti, di stabilirsi a S.M., mettendo cosi la legislazione sammarinese al passo con tutta la regolamentazione antimagnatizia
all’epoca comunissima nella legislazione della Romagna. Nelle disposizioni del 1320-1343 appare la tendenza a portare su un
piano di parità i Capitani, infatti la denominazione di CAPITANEUS ET DEFENSOR (che compare negli Statuti del1295-1302) viene
sostituita con quella di CAPITANEI ET RECTORES, intendendo in questa maniera definite una volta per tutte l’effettiva e sempre
perdurante parità anche sul piano formale. Gli Statuti ultimi (1600) vengono poi a sancire un ordinamento di tipo costituzionale
il quale, seppur tracciando una strada decisamente ispirata a principi più moderni, delinea una struttura di governo improntata
a minor democrazia e avvicinatesi alla oligarchia. Infatti, anche se il supremo organo è ancora l’Arengo, di fatto il “princeps
supremus ac absolutus” è il Consiglio. Il potere “esecutivo” non è più nelle mani dei Capitani, ma ripartito in vari organi.
Viene in tale maniera praticata una sorta di divisione dei poteri (ripeto, siamo agli Statuti ultimi, 1600), in cui permane
il potere supremo nel Consiglio il quale, a sua volta, delega poteri ad altri organi. Non dobbiamo dimenticare che in
questo secolo ed anche nel successivo la R.S. si trova ad affrontare in una fase di crisi che vede un periodo di forte decadenza
sia dal punto di vista civile che economico e politico la qual cosa determinerà il sorgere e il rafforzamento di una penetrante
oligarchia. Segni preoccupanti, ma preoccupanti, ma emblematici, saranno la chiusura del Consiglio (ormai ridotto a 45 membri
a causa della difficoltà a trovare cittadini capaci e degni), l’esau toramento dell’Argento. Il Consiglio verrà mantenuto,
poi, attraverso una nomina vitalizia per i suoi membri pre cooptazione sulla base del principio di ereditarietà. Tutto questo
favorirà l’accentramento del potere in un ristretto gruppo di persone e di famiglie ricche dotate di un fortissimo potere
decisionale, mentre il resto dei cittadini si rinchiude nella indifferenza e del disinteresse. Si giungerà, il 20/20/1652,
a ridurre il numero dei Consiglieri da 60 a 45, a seguito di reiterate assenze di alcuni Consiglieri. Col. XVIII secolo si
arriverà ad attribuire al Consiglio il titolo di Eccellenza (1738), ma anche a decretare la surrogazione dei Consiglieri solo
da parte di altri Consiglieri nobili. E’ chiaro che la crisi economica e civile di questi due secoli non può continuare a
vedersi, come hanno fatto certi autori (es. Zoccolo) alla stregua di una sorte di romantica sobrietà egualitaria, ma viene
ravvisata come radice e cagione del privilegio, quindi fonte di aristocrazia titolata. Già il Delfico aveva acutamente messo
in rilievo il “senso di apatia principal dissolvente dei corpi civili” che si era fatto strada nella Rep. Nel XVII secolo,
dopo un periodo felice (1500). Lo stesso autore ha poi cura di notare come venissero fatte salve le libertà fondamentali,
venendo però a mancare l’entusiasmo politico: “Il secolo che abbiamo trascorso (il XVI) fece cangiare aspetto all’Italia,
il tono e la temperatura intellettuale restarono abbassati…”. Infatti, i provvedimenti sopra citati stanno a dimostrare come
soltanto un restretto numero di famiglie possa ormai permettersi il lusso di occuparsi delle cose politiche, provvedendo altresì
ad aumentare i propri privilegi. L’Arengo era stato disciolto incovan do il fatto che troppo numerose erano le famiglie in
seno alla popolazione (Rubrica I, Libro I, Statuti del 16000). Dal punto di vista strettamente istituzionale, la suddivisione
dei segni elettivi del Consiglio era prevista in una certa proporzione tra “contadini” (20) e cittadini (40) e colui che ci
tramanda queste notizie – il Valli nel suo “Dell’origine et governo della Repubblica di San Marino. Breve relazione di Matteo
Valli…Padova, 1633. – ben sa che una ripartizione di questo tipo non risponde a una divisione tra nobili e plebei, ma soltanto
a una volontà di rappresentanza. Certo però che in Nobili nel Consiglio vi erano a ben determinati a tenersi un ruolo preponderante,
giusta quanto sopra affermato. Ecco dunque che col secolo XVIII viene ad evolversi un regime oligarchico-aristocratico,
naturale sviluppo del regime oligarchico che si era delineato nel secolo CV. Con le disposizione del 1756 compare una distinzione
delle famiglie in 3 ceti: nobili, cittadini e abitanti del contado. Con decisa prevalenza, specie nella gestione della cosa
pubblica dei Nobili. Del resto è sufficiente un’occhiata ai catasti, specialmente quello compilato dal Pelacchi nel periodo
1775-1777 per notare come la maggior parte dei terreni fossero nelle mani di un numero ristretto di famiglie facenti parte
del ceto nobile. Il resto delle proprietà si trovavano frazionate in una miriade di piccoli proprietari che lavoravano il
terreno a conduzione familiare. Questa oligarchia di tipo latifondistico non aveva però alcun interesse a incrementare
la ricchezza del paese attraverso commerci o la creazione di attività artigianali e nemmeno erano interessati a introdurre
innovazioni nelle tecniche agricole. In una situazione di immobilismo politico quale che attraversava la Repubblica nel
secolo XVIII, si inserisce l’episodio che vede protagonista il Cardinale Giulio Alberini (Legato Pontificio della Romagna)
che, originato per i dissapori interni tra le grandi famiglie sammarinesi, si concluse felicemente riuscendo a risvegliare
il fervore politico nella comunità del Titano, suscitando altresì ammirazione e stima anche tra le genti fuori confine. Tornando
sul tema istituzionale è interessante porre l’accento sul fatto che la R.S.M. nel XVIII secolo si trovasse al centro un certo
interesse da parte di alcuni studiosi e specialmente di John Adams (“A defence of the Constitution of Government of the U.S.A.”)
il quale si muoveva alle ricerca di una presenza dell’aristocrazia all’interno di quelli che erano i modelli classici della
democrazia. La R.S.M. viene vista da Adams come il primo esempio di una Repubblica di tipo democratico nella quale tuttavia
permane la naturale gerarchia della libertà. Scrive J. Adams: “San Marino non è affatto una perfetta democrazia. E’ un misto
di monarchia, aristocrazia e democrazia, tanto quanto lo furono Roma e Sparta, e quanto lo sono ora il Massachussets New York
e il Maryland, in cui i poteri del governatore, del Senato e dell’Assemblea sono più esattamente chiariti e intelligentemente
equilibrati”. Sull’epopea della rivoluzione francese abbiamo già accennato nel sunto storico iniziale. Anche San Marino
si trovò ad assumere atteggiamenti “alla moda”, fu chiesta nel 1797 la soppressione della nobiltà, fu adottato il calendario
rivoluzionario e la coccarda tricolore. Napoleone si mostrò molto favorevole espansione territoriale, ma la lungimiranza e
prudenza politica di Antonio Onori consigliò di non accettare le profferte di Bonaparte, assicurandosi, con il trattato di
Vienna, il pieno rispetto dei confini e delle libertà. Il 15 Marzo 1807 venne emanato un Decreto che ripristinava la
Nobiltà bene affermava Melchiorre Delfico a proposito della nobiltà: “Se però si vorrà per poco riflettere, che fra le politiche
dottrine, quella dell’incompatibilità dei nobili con le forme democratiche è di provenienza esotica e non indigena dell’Italia
o della Grecia,si vedrà che tale combinazione può esistere senza pregiudizio della cosa”. “Si conoscono quindi degli Statuti
democratici o popolari in Italia, ne’ quali si vede conservata la denominazione di nobili, anche in vari ordini distinti,
senza che questo facesse alcun imbarazzo all’indole della popolare costituzione”. Con i primi di questo secolo vediamo
tornare la Rep. su posizioni di effettiva e maggiore eguaglianza, il 25 marzo 1905 una deliberazione dell’Arengo Generale
dei padri di famiglia disponeva che l’elezione del Consiglio Principe e Sovrano avvenisse tramite elezione nelle otto parrocchie
e SENZA DISTINZIONE IN NOBILI E BORGHESI e fosse rinnovato di un terzo ogni tre anni. Un Senato consulto l’ll luglio 1907
sospendeva le concessioni di titoli nobiliari (su parere del Congresso di Stato, a cui è affidato-di concerto ai Capitani
Reggenti – il potere esecutivo). Furono ripresi nel 1931 dopo che la Rep. predispose un Ordinamento Araldico. Ritornando
l’Arengo al centro della vita politica e avendo sottoposto l’elezione del Consiglio Principe e Sovrano a consultazioni diretta,
le stessa qualifica del Consiglio viene a subire una trasformazione denominandosi dal 25/07/1906 CONSIGLIO GRANDE E GENERALE
DEI LX come del resto diceva lo Statuto “Magnum et Generale nuncupatum sexaginta virorum”. Tale ultima denominazione cedette
di nuovo il passo alle precedente, il 29.9.1931, per il fatto che il Consiglio detiene, su delega dell’Arengo la sovranità.
Detenendo quindi la sovranità, il Consiglio possiede la piena e completa autorità in ordine al conferimento dei titoli
e della nobiltà, come ci indica l Cibrario. E, ricapitolando, i punti salienti di questa prima parte della trattazione, la
nobiltà sammarinese, seppur di natura extra-legislativa (in quanto in nessun Statuto viene mai accennata disparità o distinzione
in seno alle famiglie della Repubblica) trova modo di essere menzionata a livello ufficiale (1646, 28 ottobre 1756) e viene
conferita a personaggi non sammarinesi dal 1621, e col 1895 si avrà luogo alle concessione dei titoli. Sia ben inteso,
che tali concessioni venivano effettuate a titolo onorifico e in faore di cittadini anche straniere. Il Padiglione riferisce
di quattro formule che venivano usate per il conferimento del patriziato. Il giorno il Luglio 1907 il Consiglio decise,
mediante decreto che non si sarebbero più concessi titoli nobiliari, i patriziati, i gradi militari. Questo provvedimento
non aveva valore retroattivo, per cui i titoli concessi prima di tale data poterono avere effetto. Il 25 dello stesso mese
si decise che il Governo predisponesse la pubblicazione dell’elenco ufficiale dei titolati della Repubblica. Gli Ordinamenti
nobiliari tornarono alla luce con legge del 1931, nel mentre lasciava al Consiglio ogni decisione in materia nobiliare, la
sottoponeva al contempo al parere conforme del Congresso di Stato e della Commissione dell’Ordine Equestre di S.Agata, giusta
le disposizione dell’art. I. L’art. 17 dava competenza a questa Commissione su tutti quelli che erano provvedimenti di tipo
nobiliare. All’art. 2 di questa legge si esaminavano i provvedimenti distinguendoli in: CONCESSIONE, quando si crea ex novo
un titolo, predicato, stamma, arma; CONFERMA, nel caso si autorizzi l’uso di certe prerogative nel caso siano state concesse
da uno Stato straniero; RINNOVAZIONE, allorché un titolo vine fatto rivivere se estinto nella famiglia; RICONOSCIMENTO, prevede
una dichiarazione di legalità delle prerogative anche per enti o privati; la SANATORIA, quando si hanno delle lacune di prove
nelle concessioni o successioni. Gli art.. 4,5,6 ci dicono quali sono le distinzioni, peraltro non commercializzabili,
i titoli (7), i predicati (sostanzialmente non concedibili), gli stemmi gentilizi (di spettanza ai titolati) e quelli di cittadinanza
(concessi a famiglie che li usano da almeno 100 anni). Secondo l’art. 2 l’iscrizione negli elenchi nobiliari avviene su disposizione
dell’Ordine Equestre di S.Agata. Il 23 Giugno 1935 la Repubblica di San Marino stipula un Concordato con il Sovrano Ordine
Militare di Malta per il riconoscimento reciproco delle rispettive nobiltà. Ultima in ordine di tempo la legge 13 febbraio
1980, n° 6 che stabilisce il divideto di nuove concessioni nobiliari. Certamente si riferisce alla concessione di nuove nomine
e non all’abrogazione del diritto nobiliare, né agli effetti di eventuali sentenze del Tribunale di carattere nobiliare, rese
esecutive nel territorio della Repubblica.
(Arnolfo Cesari d'Ardea)
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